Tommaso d’Aquino: maestro di musicologia?
Esiste una tipologia di persone che tutti amiamo tanto: i “tuttologi”. Sapete quel genere di individui capaci di dare una risposta, un parere, un’opinione su tutto? Gente simpatica, bisogna dirlo, come un sassolino nella scarpa nuova appena messa. E così quando mi sono messo a ricercare se il buon Tommaso d’Aquino (cui va la mia debita e filiale riverenza) si fosse preso la briga di scrivere anche di musica nella sua Summa theologiae mi sono detto: “Oddio, anche lui è uno di loro!”.
Ebbene sì, amici miei! Il caro Tommaso, oltre ad essere sommo teologo, si è rivelato questa volta anche ottimo “musicologo”, alla maniera però del teologo. Non si è messo infatti a fare né storia della musica, né si è occupato di dare la spiegazione di non so quale graduale: nulla di tutto ciò. Il Nostro infatti, a differenza dei nostri amati “tuttologi”, quando parla non lo fa a sproposito: dalle sue righe traspare sempre, e questa volta non fa eccezione, una sapienza ed una profondità di conoscenza del Mistero e di ciò che lo riguarda da lasciare senza parole.
Come dicevo, nella sua Somma di teologia san Tommaso si chiede nella II-II, q. 91, a. 1-2 se Dio si debba lodare con le labbra e se in ciò si possa fare uso del canto. A ben vedere, l’insegnamento che traspare da queste righe risulta interessante anche nell’ambito del confronto odierno sul tema della musica, e di questa al servizio delle azioni liturgiche. Tommaso, uomo del medioevo, sembra darci interessanti spunti di riflessione e qualche risposta ad alcuni interrogativi che ciascuno di noi si sarà posto qualche volta, ad esempio: “Ma a che serve che io canti a Dio?”; “A me il canto disturba! Non sarebbe meglio starsene tutti in silenzio?”.
L’Aquinate, nel corpus dell’articolo 1 (II-II, q. 91, a.1), scrive una frase che sarebbe il caso di riportare nella copertina di ogni libro di canto: “La ragione per cui rivolgiamo la parola a Dio è diversa da quella per cui la rivolgiamo a un uomo. […] A Dio (la) rivolgiamo […] non per manifestare il nostro pensiero a lui, scrutatore dei cuori; ma per indurre noi stessi e coloro che ci ascoltano ad onorarlo. Perciò la lode delle labbra non è necessaria per Dio, ma per chi la pronunzia, eccitandone gli affetti verso il Signore […]. E l’uomo, per il fatto che con la lode divina s’innalza verso Dio, per ciò stesso viene distolto dalle cose a lui contrarie ”.
Insomma la preghiera vocale e il canto sono per Tommaso un vero toccasana per la vita spirituale di ogni cristiano: lo aiutano a mettere al centro della propria vita il Signore e lo soccorrono concretamente nei momenti della prova e della tentazione. È un po’ come il famoso proverbio a tutti noto “Gente allegra Dio l’aiuta”.
Dopo aver chiarito che la preghiera vocale e la lode divina sono di grande utilità per il cristiano, il Nostro si chiede se sia utile o meno cantare ed usare strumenti musicali durante la preghiera. Vediamo cosa viene detto nel corpus dell’articolo 2 (II-II, q. 91, a.2): “Come abbiamo visto nell’articolo precedente, la lode vocale ha il compito di eccitare l’affetto dell’uomo verso Dio. Perciò tutte le cose che possono servire a questo, possono essere usate a ragione nelle lodi divine. Ora, è risaputo che l’animo umano viene disposto diversamente secondo le varie modulazioni dei suoni, come han fatto notare Aristotele e Boezio. Perciò fu saggiamente stabilito che nelle lodi divine si facesse uso del canto, per eccitare in modo più efficace alla devozione le anime meno progredite”.
Se fin qui potremmo essere d’accordo con l’Aquinate, che dire di coloro che in chiesa gridano come fossero i protagonisti della scena? Dilemma, questo, a cui il nostro Dottore risponde brevemente citando san Girolamo: “S. Girolamo non riprova il canto in modo assoluto, ma rimprovera coloro che in chiesa cantano come si usa in teatro, non per eccitare la devozione, ma per ostentazione, o per il solo godimento” (ad 2). Insomma, se il tuo fratello o la tua sorella nella fede che ti sono accanto hanno deciso di cantare durante la messa come Pavarotti o Maria Callas… forse è il caso di mettergli la Summa theologiae in mano e fargliela leggere! Una soluzione, questa, tutto sommato pacifica.
Cantare, insomma, sembra far bene al corpo, alla mente (come osserva anche la psicologia contemporanea) e soprattutto al nostro cammino di vita cristiana: ci aiuta infatti nelle difficoltà, ci stimola quando siamo molli, ci corregge quando ci crediamo padroni della scena. Ci fa capire, in conclusione, che lodare Dio con il canto significa rispondere con pienezza (con il cuore, la mente e la voce) a quanto lo stesso Signore chiese ad Israele e chiede oggi anche a noi, Nuovo Israele: “Ora, Israele, che cosa ti chiede il Signore tuo Dio, se non che tu tema il Signore tuo Dio, che tu cammini per tutte le sue vie, che tu l’ami e serva il Signore tuo Dio con tutto il cuore e con tutta l’anima?” (Dt 10, 12). Cantiamo dunque, non come teatranti, ma come figli che per amore intonano un canto nuovo ai piedi del proprio papà, quel Padre che per amore nostro ha mandato il suo unico Figlio, Gesù Cristo nostro Signore, che vive e regna nell’unità dello Spirito Santo per i secoli eterni.
fr. Fabrizio Cambi, O.P.
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