Perché si prega con le mani giunte?

Risponde padre Lamberto Crociani, docente di Liturgia alla Facoltà teologica dlel'Italia Centrale.

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Foto: ToscanaOggi.it

Due domande sui gesti che accompagnano le nostre preghiere. Risponde padre Lamberto Crociani, docente di Liturgia alla Facoltà teologica dlel’Italia Centrale.

Perché quando si prega, in genere, si tengono le mani giunte? E perché durante il Padre Nostro in chiesa invece molte persone fanno come il sacerdote e allargano le mani con le palme in alto?

Fiammetta Fiori

L’interessante la domanda che pone la nostra lettrice: una tale richiesta, infatti, ci permette di affrontare un argomento che vede oggi divisi molti cristiani in base al modo in cui ogni fedele vive l’esperienza della preghiera.

C’è una prima osservazione di fondo: la preghiera domanda non solo una partecipazione dello spirito, ma deve coinvolgere anche tutto il corpo dell’orante per esprimere la sua intima relazione con il Signore.

Dalla Scrittura e dalla tradizione delle Chiese si evince che diversi sono gli atteggiamenti del corpo dell’orante: in piedi, prostrati, in ginocchio con diverse modalità (su un ginocchio o su due), inclinati, battendosi il petto.

La posizione «in piedi», per secoli trascurata dai cristiani occidentali è l’attitudine normale dell’orante nella maggior parte delle religioni, ebraismo compreso. Essa in genere esprime rispetto, vigilanza, disponibilità ad ascoltare, slancio ad obbedire. Lo Spirito Santo fa alzare in piedi Ezechiele prima di parlargli: «Mi disse: “Figlio dell’uomo, alzati, ti voglio parlare”. Ciò detto uno spirito entrò in me, mi fece alzare in piedi ed io ascoltai colui che mi parlava. Mi disse: “…io ti mando…”»(Ez. 2, 1-4). Nella parabola del «fariseo e del pubblicano al tempio» in Luca 18,9-14 non si condanna lo stare in piedi del fariseo orante, anche il pubblicano sta in piedi, ma il suo atteggiamento di giudizio, condanna e di autosoddisfazione per ciò che fa. Il pubblicano sta in piedi battendosi il petto.

La figura dell’orante che l’antica tradizione cristiana ci ha trasmesso, fin dalle catacombe, è quella di una persona in piedi con le braccia aperte ed elevate. Questo è nel mondo cristiano non solo segno di rispetto, vigilanza e disponibilità all’ascolto, ma anche esperienza viva, impressa nel proprio corpo, della Risurrezione. È certo che nel primo concilio ecumenico, a Nicea l’anno 325, i Padri proibiscono di pregare con altre posture, ma solo stando in piedi ogni domenica e nel tempo che va dalla domenica della Risurrezione fino alla Pentecoste. Questa è certo la più antica posizione canonica della preghiera: in piedi e con le braccia aperte ed elevate e con le palme rivolte verso l’alto in posizione di obbediente abbandono.

C’è un altro aspetto cristologico che vorrei indicare in questa fondamentale posizione del corpo: per i cristiani le braccia allargate ricordano le braccia di Cristo distese sulla croce. Il Crocifisso ha dato una nuova profondità al primordiale gesto umano di preghiera. Allargando le braccia, vogliamo pregare insieme al Crocifisso, unirci ai suoi «sentimenti» (Fil 2,5), cosi come spiegava, agli inizi degli anni ’90, l’allora card. J Ratzinger.

La posizione «in ginocchio», invece, esprime soprattutto dipendenza, sottomissione, pentimento, implorazione, supplica. Ma, forti della tradizione, non possiamo dire che questo è l’unico vero atteggiamento di preghiera come dalla maggior parte si pensa, provando anche scandalo nel vedere, per esempio, che la maggior parte dei fedeli si accosta alla comunione eucaristica in piedi, posizione tipica del primo millennio in tutte le Chiese ed oggi ancora in uso in tutto l’Oriente.

Pregare in ginocchio è sicuramente testimoniato dalla Scrittura. Luca negli Atti afferma che Pietro si inginocchiò per pregare (Atti 9,40); ed anche Paolo, pregando a Mileto con gli anziani della Chiesa di Efeso prima della sua partenza per Gerusalemme, si inginocchiò con tutti e pregò (Atti 20,36). Cristo stesso, nell’agonia dell’orto, pregò in ginocchio (Luca22,41), ma secondo gli altri evangelisti si prostrò secondo un’altra delle tradizioni di preghiera, oggi restata soprattutto in Oriente, specie durante la Quaresima, e molto limitata ormai in Occidente e qui riserrata per lo più agli ordinati il venerdì santo e nei rituali di ordinazione.

Tuttavia non sembra che la preghiera in ginocchio fosse usuale nei primi secoli del Cristianesimo: era praticata solo nei periodi penitenziali. Successivamente, a partire dai secoli XIII-XIV, la posizione in ginocchio entrò nella Messa, dove si intendeva privilegiare il suo aspetto di gesto di adorazione più che di pentimento.

Solo nel secolo XIII prende avvio l’uso di pregare ordinariamente in ginocchio e a mani giunte. Durante il pontificato di Gregorio IX, il gesto dell’orante con le braccia elevate e le palme delle mani rivolte verso l’alto anche stando inginocchiati fu in parte sostituito dalla preghiera «a mani giunte», il cui successo sembra sia dipeso tanto dall’influsso francescano quanto dall’analogia con l’affidamento del mondo feudale. L’ordinario della Messa francescano presupponeva che l’elevazione dell’ostia, momento centrale della Santa Messa, si effettuasse a mani giunte, poiché occorre essere concentrati e raccolti per offrire degnamente a Dio il Corpo di Cristo, proprio come il vassallo che pone le sue mani in quelle del suo signore, come un prigioniero, per ricevere la qualifica che attende. Benché tardiva, l’unione delle mani costituisce uno dei momenti più complessi, del codice medievale. E giunge fino ai nostri giorni, facendo dimenticare tutte le altre posture tipiche della preghiera antica durate fino al secondo millennio.

L’Oriente ha conservato tutti gli atteggiamenti di preghiera della Chiesa del primo millennio (in piedi, prostrati, in ginocchio, inclinati) e gli spirituali sostengono che le persone, pregando Dio in modo differente ne traggono diversi e importanti vantaggi. Questa differenza si vede anche dalla qualità e dai modi in cui la preghiera è svolta; le prostrazioni per esempio aiutano molto la preghiera. Quelli che al mattino e alla sera pregano inchinandosi una o due volte sentono di essere pervasi da una forza spirituale. Il corpo si raccoglie, e quando ciò avviene anche la mente e lo spirito trovano più facile raccogliersi e lavorare interiormente in modo più naturale.

Credo che dovremmo rivalutare tutte le posizioni che la stessa Sacra Scrittura e la tradizione ci propongono, senza privilegiarne una rispetto alle altre, ricordando che non sempre è identico il sentimento che ci spinge alla preghiera: ora può essere rendimento di grazie, ora gioia o dolore, ora desiderio di intimità con Dio, ora espressione di penitenza e conversione. Ma soprattutto credo dovremmo rivalutare la posizione eretta per la preghiera nel Giorno del Signore, secondo il canone del primo concilio niceno, elevando a Dio le nostre mani nella preghiera domenicale e porgendole con gioia per ricevere il Corpo del Signore.

Lamberto Crociani

FONTESpeSalvi.it


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Prof. Giuseppe Gravante
Teologo della Liturgia. È docente di Liturgia presso l'Istituto di Musica Sacra e presso l'Istituto per la formazione laicale "J. Ratzinger" della Diocesi di Termoli-Larino. Nell'Arcidiocesi di Chieti-Vasto, è docente di Religione Cattolica. Ha studiato Filosofia e Teologia presso la Pontificia Università Lateranense; Archivistica Storica e Biblioteconomia presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e ha approfondito la propria formazione liturgica (attraverso seminari e corsi) presso i Pontifici Istituti Liturgici di "S. Anselmo" in Roma e di "S. Giustina" in Padova. È direttore del sito web di cultura e informazione cattolica SpeSalvi.it; collabora con diverse testate online di natura filosofico-teologico e con testate giornalistiche locali. Per Tau Editrice (febbraio 2016): Culmine e Fonte. L’evoluzione della Messa dal Concilio di Trento alla riforma del Vaticano II.