La partecipazione liturgica ha una motivazione teologica.
Partecipare è connaturale alla Liturgia stessa, perché la celebrazione non è “affare dei preti”, ma azione di Cristo e della sua Chiesa. I cristiani sono coinvolti personalmente e solidalmente nella partecipazione, per ricevere e donare oggi la salvezza, che viene storicamente significata ed efficacemente comunicata agli uomini mediante i gesti liturgici.
La partecipazione ha un fondamento sacramentale.
Ogni cristiano ha diritto e dovere di partecipare alla Liturgia perché è battezzato, membro del corpo di Cristo, che è popolo sacerdotale (Cfr.. 1 Pt 2, 9). Pertanto ogni cristiano ha questo ius nativo a partecipare, legato al sacerdozio battesimale, che lo abilita a dare una risposta adeguata all’intervento salvante delle divine Persone agenti nella Liturgia.
I soggetti della partecipazione.
Chi sono coloro che Partecipano? Tutti i con-celebranti sono anche partecipanti. Infatti, se tutta l’assemblea è soggetto celebrante, ciascun suo membro è chiamato a realizzare la celebrazione, intervenendo attivamente e concordemente per porre in essere i gesti che la costruiscono quale concreta azione di salvezza oggi. Dice il Concilio: «È ardente desiderio della madre Chiesa che tutti i fedeli vengano formati a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della Liturgia e alla quale il popolo cristiano, “stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo di acquisto” (1 Pt 2, 9; Cfr.. 1 Pt 2, 4-5) ha diritto e dovere in forza del Battesimo» (SC 14).
Il soggetto celebrante e partecipante è la Chiesa intera, popolo sacerdotale. Sant’Agostino esortava: «Orsù, fratelli, la celebrazione è cosa vostra!». È essenziale, infatti, che tutti i membri della Chiesa non solo abbiano la qualifica sacerdotale, ma che ne esercitino gli atti, rispondenti al loro diverso e convergente modo di partecipazione al sacerdozio unico di Cristo. “Partecipare” non significa attribuire a ognuno un’azione nel rito liturgico, ma attribuire a tutti l’unica azione rituale.
D’altra parte, l’assemblea liturgica non è un assembramento anonimo di persone estranee che assistono a un rito ognuna per proprio conto. Essa è icona della Chiesa orante capace di rendere Cristo, attraverso il suo corpo e il suo sangue, effettivamente presente in mezzo a lei. Su questa linea, si comprende anche, come la buona riuscita di una celebrazione dipende da tanti fattori (personali e rituali) e in particolar modo dall’esercizio di una presidenza stimolatrice. In tal senso, il ruolo di presidente di un’azione liturgico-sacramentale non è mai delegabile a chi non sia in possesso del ministero ordinato. Chi presiede è al servizio della Chiesa, concretamente conduce l’assemblea radunata, ne interpreta la vita e la preghiera.
Il Presidente si evidenzia nella celebrazione per la parte principale e essenziale che gli spetta, per la sede che occupa e per la veste liturgica. Accanto al presidente – che bisogna liberare da una solitudine pastorale e liturgica – devono assumersi come parte attiva altri Ministri, rispondenti alle esigenze vitali e celebrative del popolo di Dio. Si è abilitati a questi ministeri dai Sacramenti dell’iniziazione cristiana ed esplicitando doni naturali e di grazia, per dare un proprio contributo alla comunità con spirito di servizio senza vanità, disponibilità senza arroganza, impegno di coerenza tra ministero e vita.
Modalità della partecipazione.
Dice il Concilio: «Nelle celebrazioni liturgiche i singoli cristiani sono interessati in diverso modo, secondo la diversità degli stati, degli uffici c dell’attuale partecipazione» (SC 26).
Occorre tener presente che in base al principio della “verità dei segni”, nelle celebrazioni non dovrebbero più esserci finzioni: un sacerdote non può vestirsi da diacono e comportarsi da diacono (anche se precedentemente al sacerdozio è stato ordinato diacono); se partecipa alla celebrazione un lettore, lui proclami la Parola; non sono più possibili né supplenze, né surrogati, né avocazioni da factotum! In parole povere: a ciascuno il suo!
Una partecipazione così coordinata evidenzia i carismi molteplici della comunità, tutti tendenti alla edificazione dell’unico corpo di Cristo, secondo la grazia di ciascuno. Sicché tutti sono attori della celebrazione, ma in modo diversificato, cioè gerarchico e coordinato; anche la partecipazione sarà, pertanto, diversificata e convergente: tutti, svolgendo ciascuno la propria parte, concorrono a porre in essere la celebrazione e a ricavarne frutti di santificazione personale ed ecclesiale, a lode di Dio.
Nel modello della Liturgia clericale, il prete diceva e faceva tutto da sé e per sé. I fedeli assistevano soltanto, non veniva stimolata la loro risposta. Il prete agiva a senso unico. Nel processo partecipativo, invece, occorre attivare un circuito comunicativo di “andata e ritorno”. Non si celebra privatamente, si celebra insieme (da soli, si ricorda, non si celebra): perciò occorre essere attenti ai destinatari, cioè coinvolgere i presenti, in modo che da “assistenti” diventino “concelebranti-partecipanti”.