Caratteristiche della Partecipazione.
Concretamente: come deve qualificarsi questa partecipazione?
Partecipazione cosciente o consapevole.
Nella celebrazione avviene l’incontro tra le Persone della Trinità e le persone umane, formanti, in Cristo, la persona mistica che è la Chiesa. Ora, rincontro tra persone deve avvenire in modo consapevole. Ciò esige, da parte dei fedeli, almeno un po’ di preparazione biblica e catechetica, che sono le condizioni fondamentali per la formazione e la vita liturgica (SC 9); e, da parte di chi presiede e di chi anima l’assemblea, interventi adeguati: omelia ben calibrata, monizioni brevi e puntuali, capaci di creare un conveniente raccordo tra i vari momenti celebrativi ed esplicitare la portata dei gestì che sì pongono.
Partecipazione piena.
La partecipazione piena deve essere insieme interna (cioè attenta e animata dalla fede e dall’amore) ed esterna, manifestata nei gesti e negli atteggiamenti. Non basta l’esatta esecuzione dei gesti senza partecipazione interiore: ci sarebbe il vuoto.
Partecipazione attiva.
Ciascuno, rispettando il suo ruolo e facendo la sua parte, concorre a costruire la celebrazione. Nessuno può pretendere di trovarla già preparata e godersela o criticarla come se fosse uno spettacolo. La partecipazione attiva richiede evidentemente che la preparazione pratica di ogni celebrazione si faccia di comune e diligente intesa con tutti quelli che sono interessati rispettivamente alla parte rituale, pastorale e musicale, sotto la direzione del rettore della Chiesa e sentito anche il parere dei fedeli per quelle cose che li interessano direttamente. Ciò per evitare l’improvvisazione, la confusione, con evidente disagio e distrazione dei fedeli. Tuttavia è bene ricordare che partecipare attivamente non implica semplicemente o necessariamente, “fare qualcosa”, ma soprattutto coinvolgersi nell’offerta di Cristo al Padre.
La partecipazione pia.
A volte la preoccupazione per la partecipazione attiva ha prodotto celebrazioni disordinate, finanche chiassose e distraenti (nei movimenti, nei gesti, nelle parole, nel canto). Come conseguenza disastrosa si è avuto la perdita del raccoglimento. Fatto sta che, se in una celebrazione qualcosa impedisce il raccoglimento, va assolutamente eliminato, perché ostacola e può vanificare la preghiera della Chiesa (compresi i canti!). Al contrario, nella celebrazione ogni elemento va predisposto in modo da favorire il contatto di tutti e di ciascuno con il Risorto e con i fratelli. Questo è il fine della Liturgia. Se questo non si raggiunge, la partecipazione scade in attivismo vuoto, scenografico, di parata. Nemica mortale della celebrazione pia è la fretta, che già Sant’Alfonso chiamava «la peste della preghiera». La fretta è cattiva consigliera, dà una penosa sensazione di superficialità, non favorisce il raccoglimento né per l’ascolto né per la riflessione e la risposta orante e conduce al “minimismo” e al “validismo”.
Partecipazione comunitaria.
Ogni attore della celebrazione deve porsi in sintonia con gli altri, esso loda e santifica facendo quasi scomparire la sua personalità umana Ecco perché, per determinati uffici liturgici, si richiede un abito particolare, quasi a significare che si è ministri e non conta il nome o il volto del singolo. Il ruolo o funzione prevale sull’individualità pur non annullandola.
Partecipazione fruttuosa.
Il ritmo della celebrazione non è soltanto una legge interna, ma se deve essere vera e storicamente salvante, deve ritrovarsi in un coinvolgimento di tutta l’esperienza umana: dalla vita al rito, alla vita rinnovata. È falsa e inutile sia una celebrazione che non presenti la vita nel suo impasto esistenziale, sia una Liturgia che non operi efficacemente alla trasformazione dei cristiani, affinché siano fermento di vita nuova nel mondo. La Liturgia non è mai un assoluto, isolata da un contesto vitale: richiede un “pre-liturgico”, che prepari e motivi la celebrazione, ed esige ulteriormente un «post-liturgico», che ne estenda l’efficacia salvifica.
Partecipazione graduale.
La partecipazione piena è un optimum che si pone come traguardo da raggiungere. Nella realtà occorre tener presenti le concrete possibilità di partecipazione, ricordando che usciamo da una fase storica di “pura presenza” o di semplice “assistenza” alla Liturgia, in cui ci si accontentava, per l’adempimento del “precetto”, di una presenza fisica con un po’ di raccoglimento e di preghiera individuale per riempire gli spazi lasciati vuoti dalla lingua incomprensibile e dal rituale complicato e non comunicativo.
La partecipazione liturgica infatti culmina nel ricevere l’Eucaristia, possibilmente non solo la domenica, ma anche nei giorni feriali più importanti (Avvento, Quaresima, Pasqua, feste di Maria o di Santi) e si estende nella condivisione fraterna di una vita cristiana ispirata dalla carità. La diversa composizione dell’assemblea, allora, richiede stimoli ed esigenze differenti al fine di far convergere tutti nell’unico rito. Per cui si sarà più esigenti con gruppi e comunità qualificate, meno con assemblee mobili ed eterogenee. In conclusione, è necessario tener sempre presente chi si ha di fronte, cogliendone i pregi e i limiti, al fine di rispettare una necessaria gradualità che posse condurre a ottenere risultati pieni e soprattutto convincenti.
Rischi di attivismo.
Il rischio della spettacolarità.
Ecco alcuni esempi:
Quando si celebra un Matrimonio, è chiaro che gli sposi vi hanno una parte importante: sono infatti i ministri del Sacramento. Ma non sono i ministri dell’Eucaristia. Invece è capitato di vedere sposi affiancati al sacerdote durante la parte eucaristica della Messa, come se fossero dei concelebranti insigniti dell’ordine sacro. Né è consentito far loro alzare il calice o la patena al momento della dossologia, oppure farli comunicare direttamente all’altare o scambievolmente passarsi le sacre specie, senza la mediazione del sacerdote. Neanche sembra opportuno far proclamare agli sposi le letture, perché essi sono i primi destinatari della Parola di Dio, che devono ascoltare con attenzione. Se, al contrario, sono chiamati a leggere all’ambone, a parte l’emozione che potrebbe in qualche modo bloccarli, quando si muovono suscitano subito l’intervento di fotografi, cineoperatori e… caudatarie: col risultato di una generale distrazione! Se, giustamente e lodevolmente, si desidera che gli sposi siano liturgicamente più attivi, li si può invitare a formulare qualche intenzione alla preghiera dei fedeli o a portare effettivamente, non fintamente, qualche dono per la Chiesa o per i poveri. Se ne sono capaci, potrebbero anche, all’inizio della celebrazione, dire i motivi per cui hanno scelto di celebrare sacramentalmente il loro Matrimonio; oppure, alla fine, prima della benedizione, ringraziare i presenti per la partecipazione. Ma non possono essere promossi sul campo quali lettori o ministri straordinari della Comunione.