Musica e Canto nella Liturgia

Il canto, assieme a tutti i suoi connotati, è un linguaggio tipicamente umano.

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 Il Canto nella Liturgia.

Troppo spesso si è parlato in modo indipendente: o solo del canto, senza badare al contesto celebrativo, o solo della Liturgia, senza tener conto dell’elemento musicale vero costituente celebrativo e non semplice ornamento solennizzante.

Giustamente, pertanto, i Vescovi italiani invitano a “celebrar cantando”. Perciò, per evitare discorsi astratti e improduttivi, occorre trattare sempre insieme la triade “Musica-Liturgia-Cultura”. La musica ha sempre avuto un legame segreto con la realtà divina. La storia del cristianesimo insegna che la Liturgia cristiana è nata col canto. Già Gesù, nell’ultima cena, molto probabilmente, si espresse con parole modulate su recitativi melodici, come usavano fare gli ebrei cantando i Salmi e facendo il memoriale della Pasqua.
San Paolo, poi, esorta i cristiani: «Cantate fra voi salmi, inni e cantici spirituali; cantate, inneggiate al Signore con tutto il cuore» (Ef 5,19); «Cantate a Dio salmi, inni e canti spirituali, volentieri e con riconoscenza» (Col 3,16). E San Giacomo: «Se uno di voi è nel dolore, preghi; se è nella gioia, salmeggi» (Gc 5,13). Gli Atti riferiscono che San Paolo in carcere a Filippi pregava e cantava con i suoi amici cristiani (Cfr.. At 16,25).

I primi cristiani, secondo la testimonianza di Plinio il Giovane nella sua lettera a Traiano, (anno 112), «si riunivano e cantavano inni a Cristo che essi adoravano come Dio».
Anche Sant’Ignazio di Antiochia nella Lettera agli Efesini, Clemente Alessandrino nel Pedagogo, Tertulliano nel De anima e nell’Apologetico parlano del canto liturgico dei cristiani. Lungo i secoli c’è tutta una produzione musicale liturgica, tanto da costituire un “continuum” di portata semplicemente impressionante, anche se non ci è giunto neanche un rigo musicale dei primi secoli. Il Concilio perciò afferma: «La tradizione musicale della Chiesa forma un patrimonio di inestimabile valore» (SC 112). Del resto, la Liturgia cristiana si innesta, per tante sue forme celebrative, su quella ebraica, la quale, sia nella sinagoga sia nel tempio, era celebrata normalmente in canto.

Stretto legame tra Canto e Liturgia.

La Liturgia celebra il mistero pasquale di Cristo: ripresenta con segni rituali l’amore misericordioso di Dio che, in Cristo, si fa carne e tende a realizzare la comunione totale dell’uomo con Dio e con i fratelli. Tutta la vita cristiana dovrebbe essere un continuo canto d’amore, perché cantare amanti est e noi amiamo perché siamo stati amati: Dio infatti ci ha amati per primo.

Perciò la Chiesa ha bisogno dei musicisti. Quante composizioni sacre sono state elaborate nel corso dei secoli da persone profondamente imbevute del senso del mistero! Innumerevoli credenti hanno alimentato la loro fede alle melodie sbocciate dal cuore di altri credenti e divenute parte della Liturgia o almeno aiuto validissimo al suo decoroso svolgimento. Nel canto la fede si sperimenta come esuberanza di gioia, di amore, di fiduciosa attesa dell’intervento salvifico di Dio. In tal modo, anche il dolore, diventa fecondo nell’amore; nella morte s’innesta la vita; la speranza di cieli nuovi e terra nuova che dà alla nostra lotta quotidiana per il trionfo del bene una serena sicurezza, pregustazione della gioia eterna. La Liturgia celebra la vita nuova, cioè Cristo risorto, la cui energia divina coinvolge progressivamente la realtà umana e trasfigurerà finanche il cosmo (Cfr.. Rm 8,18-25). Per questo motivo teologico la Liturgia cristiana non è mai triste e disperata, neanche quando celebra le esequie, ma è sempre fiduciosa e festosa: il motivo della sua festa è Cristo risorto, primizia e pegno della gloria. Giustamente pertanto il Concilio sancisce solennemente: «Il canto sacro è parte integrante della Liturgia solenne» (SC 112).

Non è pensabile che un’assemblea resti muta, non esploda nel canto quando la domenica partecipa all’Eucaristia. La gioia di ritrovarsi insieme per celebrare, sotto forme diverse, il mistero pasquale, spontaneamente fiorisce nel canto. «Ogni assemblea è una festa, scrive San Giovanni Crisostomo. Cosa lo prova? La stessa parola di Cristo (Mt 18,20).

Il canto liturgico nasce dalla fede gioiosa, l’esprime, la rafforza e la comunica. Diceva Paolo VI: «Se un popolo canta, non perderà mai la fede». Canto e musica, entrando nel contesto celebrativo, diventano azione liturgica e perciò assumono un ruolo ministeriale (MS 1,1.3). Non sono più, come per il passato, elemento preponderante e indipendente dalla celebrazione, la quale veniva usata come pretesto per permettere al maestro, ai cantori e all’organista di sfoggiare la loro valentia. Tutti costoro oggi, per inserirsi armoniosamente nella Liturgia, devono essere animati dall’umiltà del servizio. «La musica infatti sarà tanto più santa quanto più strettamente sarà unita all’azione liturgica» (SC 112): anzi ne diventa elemento celebrativo.

Interventi del Magistero.

Il Motu Proprio Inter sollicitudines (22.11.1903) di Pio X, è la “magna charta” che dà l’avvio alla riforma e rifonda il canto liturgico. Pio X si proponeva di purificare la Liturgia dalla mondanità che l’aveva in gran parte invasa e restituire ai fedeli la parte loro spettante nella celebrazione solenne. «Il popolo canti!» fu l’invito ricorrente che, a partire da quegli anni, ispirò i tentativi dei liturgisti e dei compositori per costruire insieme una Liturgia effettivamente partecipata.

Il documento pontificio definisce il canto parte integrante della Liturgia: esso concorre ad accrescere il decoro e lo splendore delle celebrazioni. Il suo fine è la gloria di Dio e la santificazione dei fedeli. Le qualità del canto liturgico sono: universalità, santità e bontà delle forme. I generi di musica ammessi nella Liturgia sono due: gregoriano e polifonia classica. La musica sacra è semplicemente parte della Liturgia e sua umile ancella. Per questo «non è lecito, per ragioni di canto, fare attendere il sacerdote al fine di fare più di quello che comporti la cerimonia liturgica. È un abuso gravissimo che la Liturgia appaia secondaria e quasi servizio della musica, mentre la musica è semplicemente parte della Liturgia e sua umile ancella.

Pio XI, successivamente, insiste soprattutto sulla formazione musicale dei seminaristi, sulla cura dell’ufficiatura corale e sulla preparazione delle Scholae cantorum. Sottolinea la necessità che il popolo partecipi cantando alla Liturgia e perciò sia educato al canto liturgico.

Pio XII, invece, ripropone quasi alla lettera l’esortazione del suo predecessore affinché il popolo canti il gregoriano, ma c’è anche una interessante apertura: accanto al gregoriano, che «rimane il canto tipico della Chiesa», si possono usare anche canti in lingua volgare. È anche consentito suonare strumenti dolci (Pio XII suonava il violino), però senza mai sopraffare la voce dell’uomo.
Giovanni Paolo II, nel centenario del Motu proprio “Tra le sollecitudini” di Pio X, scrisse un Chirografo, per ribadire l’importanza della musica e del canto quali componenti della Liturgia e denunciare alcuni usi impropri di essi nella celebrazione. Sicché la musica sacra è parte della Liturgia e sua umile ancella (Pio X, IS 23); è ancilla nobilissima della Liturgia (Pio XI, DCS 13); quasi ministra della Liturgia (Pio XII, MSL 13); è parte necessaria e integrante della Liturgia solenne e ha un compito ministeriale (SC 112). Si noti il passaggio: da “umile ancella” a “compito ministeriale”, diventando anch’essa, in quanto strettamente congiunta all’azione liturgica, epifania di Chiesa e della fede che essa professa e celebra anche col canto.