Ricevendo l’Associazione Italiana Santa Cecilia, il Pontefice ricorda che fare musica nella Chiesa è un dono di Dio ma anche un modo per aiutare a far capire il messaggio cristiano a chi è lontano.
L’amore e la fedeltà per la Chiesa che si esprime in note, in armonia, in canto di lode. Questo è lo spirito che da almeno 140 anni anima l’Associazione Italiana Santa Cecilia, in questi giorni riunita a Roma in occasione del Convegno nazionale delle Scholae Cantorum. Nell’udienza in Vaticano, Francesco incoraggia l’Associazione a continuare sulla strada intrapresa, servendo la Liturgia, facendosi “voce qualificata di spiritualità, di comunione, di tradizione e di cultura liturgica”. Il Papa sottolinea come la musica sacra sia “ponte” che avvicina e abbatte le barriere anche con chi non sentiamo vicini e ricorda che “chi canta prega due volte”.
Una musica santa e universale
Francesco sottolinea l’affetto e la stima dei Papi precedenti come san Pio X che con il “Motu Proprio Tra le sollecitudini” del 1903 diede disposizioni sulla musica sacra o come San Paolo VI che chiese maggiore integrazione con la liturgia, coltivando il sensus ecclesiae. Una particolare attenzione richiesta anche da Benedetto XVI.
Non una musica qualunque, ma una musica santa, perché santi sono i riti; dotata della nobiltà dell’arte, perché a Dio si deve dare il meglio; universale, perché tutti possano comprendere e celebrare. Soprattutto, ben distinta e diversa da quella usata per altri scopi.
Vicini al popolo di Dio
Esortando a camminare ancora sulla via intrapresa, il Papa ricorda che l’Associazione non deve essere “protagonista” né “proprietaria di nessuna musica” ma deve portare avanti l’amore e la fedeltà alla Chiesa, prendendo spunto dal canto gregoriano e promuovendo la presenza della schola cantorum in ogni comunità parrocchiale.
Il coro infatti guida l’assemblea e – con i suoi repertori specifici – è voce qualificata di spiritualità, di comunione, di tradizione e di cultura liturgica. Vi raccomando di aiutare a cantare tutto il popolo di Dio, con partecipazione consapevole e attiva alla Liturgia. Questo è importante: la vicinanza al popolo di Dio.
Privilegio e dono di Dio
Conoscendo i sacrifici che spesso compie chi dedica la propria vita alla musica, Francesco sottolinea come la dedizione rappresenti “una via di evangelizzazione a tutti i livelli dai bambini agli adulti”. “La Liturgia infatti è la prima maestra di catechismo”.
Cantare, suonare, comporre, dirigere, fare musica nella Chiesa sono tra le cose più belle a gloria di Dio. È un privilegio, un dono di Dio esprimere l’arte musicale e aiutare la partecipazione ai divini misteri. Una bella e buona musica è strumento privilegiato per l’avvicinamento al trascendente, e spesso aiuta a capire un messaggio anche chi è distratto.
La musica riduce le distanze
Nella musica si salda insieme la vita cristiana, evidenzia il Papa, perché in essa risuona il canto gregoriano, la polifonia, la musica popolare e contemporanea. Una sinfonia nella quale a cantare lode a Dio ci sono “tutte le generazioni passate e presenti, ognuna con la propria sensibilità”.
Non solo, ma la musica sacra – e la musica in genere – crea ponti, avvicina le persone, anche le più lontane; non conosce barriere di nazionalità, di etnia, di colore della pelle, ma coinvolge tutti in un linguaggio superiore, e riesce sempre a mettere in sintonia persone e gruppi di provenienze anche molto differenti. La musica sacra riduce le distanze anche con quei fratelli che a volte sentiamo non vicini.
Un lavoro intriso di bellezza, di passione, che allontana e disintossica dalla mediocrità per elevarsi verso l’alto, verso Dio unendo i cuori, spiega il Papa, “nella lode e nella tenerezza”.