di: Giordano Cavallari (a cura)
Chiara Bertoglio è musicista (pianista), musicologa e teologa. Qui risponde alle domande di SettimanaNews in occasione della data anniversario della morte di Johann Sebastian Bach (28 luglio 1750).
- Chiara, puoi tracciare una breve linea di collegamento culturale tra il tempo delle Riforme cinquecentesche – a cui ti sei ampiamente dedicata – e il tempo di Johann Sebastian Bach?
Tra il tempo delle grandi Riforme e il tempo di Johann Sebastian Bach (Eisenach, 31 marzo 1685 – Lipsia, 28 luglio 1750), sta un evento storico lunghissimo, profondissimo, drammatico, quale la “Guerra dei trent’anni”.
Come ben sappiamo, come ogni guerra, questa non ha certamente giovato all’instaurarsi di una pacifica convivenza tra le confessioni cristiane, specie in Germania. E tuttavia – come da ogni cosa brutta – ne è pure uscita una benigna. Dal punto di vista musicale – paradossalmente (ma nella storia mai nulla è così paradossale!) – si sono sviluppati intensi scambi tra i patrimoni culturali in rapida evoluzione, pur entro i limiti consentiti dai rispettivi culti.
In ambito evangelico, ciò che Lutero – musicista – aveva seminato e i suoi seguaci avevano già ben coltivato, viene a maturazione proprio nel ’600 e quindi nel ’700 di Bach. In particolare, la forma del “corale” diviene creativa nel servizio liturgico e nella pastorale.
Lutero aveva peraltro lasciato libertà di linguaggio musicale – a differenza di altri riformatori – rendendo possibili, a quasi due secoli di distanza, positive contaminazioni – persino con l’“opera lirica” italiana – e la promozione di talenti e di geni musicali (e non solo musicali), quale è stato sicuramente J.S. Bach.
Musica e comunità
- Il principale riferimento teologico per il luterano Bach è stato dunque Lutero?
Lutero con le sue opere è stato – sì – senz’altro e direttamente determinante nella formazione di Bach, ma non dimentichiamo che Bach è stato un musicista di chiesa, quindi al servizio delle chiese per cui ha lavorato, inevitabilmente influenzato, ad esempio, da pastori e predicatori eccellenti, conosciuti in queste chiese.
Questi pastori affondavano le radici dei loro sermoni nei testi Lutero, ma, ovviamente, mettevano anche del loro, nell’intento di trasmettere una visione teologica completa alle proprie comunità. I musicisti deputati alla liturgia – quale Bach – necessariamente prendevano parte organica della trasmissione comunitaria di tale visione teologico-pastorale, molto curata.
Una fonte di ispirazione che oggi – grazie alle più recenti ricerche sugli studi di Bach – è venuta pienamente in luce è la cosiddetta Bibbia di Calov: si tratta di un grande tesoro, enorme anche per dimensioni, in cui si ritrova il testo della Bibbia tradotto da Lutero e arricchito dai commenti del grande teologo di Wittenberg Abraham Calovius. Ebbene sono stati ritrovati e studiati i volumi della Bibbia di Calov su cui Bach ha lasciato le sue numerose annotazioni, sia sul Nuovo sia sull’Antico Testamento.
Ricordo, ad esempio, un’interessantissima annotazione in cui Bach paragona il suo lavoro a quello degli artigiani costruttori dell’arca dell’alleanza nel libro dell’Esodo: la stessa cura andava posta, secondo lui, musicalmente, per la Parola di Dio e per il culto di Dio.
- Bach ha lavorato solo al servizio di chiese luterane?
A Köthen Bach ha vissuto l’unico impiego in una corte calvinista, quindi non luterana. Lavorava per la chiesa e la comunità, ma non frequentava il culto calvinista. Di quel periodo sono infatti molte opere strumentali di straordinaria ricchezza e di non minore ispirazione religiosa, a mio modo di vedere.
- Pare che nell’ultimo suo servizio abbia manifestato qualche dissenso in una chiesa luterana, è vero?
A Lipsia Bach ha manifestato tutta la sua contrarietà alla “burocrazia” che arrivava evidentemente a interessare lo stato come la Chiesa – evidentemente tutte le Chiese – impedendo alla creatività e ai talenti personali di fiorire in pienezza.
Effettivamente ci sono documenti che attestano una certa sua litigiosità, o meglio, un certo rammarico e indignazione in alcune circostanze. Penso tuttavia che questo aspetto non vada enfatizzato. Quanto meno non abbiamo sufficienti elementi per affermarlo.
Sicuramente dobbiamo pure considerare la responsabilità che Bach ha sentito, molto forte, per la sua numerosa famiglia e quindi per il mantenimento della stessa. Nelle sue lettere alle autorità sono entrate anche le sue questioni economiche, mai facili, per non dire difficili. Bach è stato un genio. Ma soprattutto un uomo in carne e ossa, alle prese coi problemi della vita di tutti e di tutti i giorni.
Biografia di un genio musicale
Quali sono i fatti della sua vita e i tratti del suo carattere che tu ritieni rilevanti?
Tra gli aspetti determinanti della sua biografia vanno senz’altro ricordati i lutti precoci e le forti difficoltà vissute. I suoi genitori sono morti quando era ancora un ragazzo. Il dolore deve essere stato molto grande.
Non ha potuto studiare, frequentare l’università, fare tutto quello che le sue potenzialità gli avrebbero consentito. La sua prima moglie è morta molto precocemente lasciandolo con già diversi figli e non pochi problemi di ordine molto concreto. I lutti non sono cessati neppure con i figli. All’epoca la mortalità infantile era molto alta. Era normale che alcuni figli non raggiungessero l’età adulta.
Ciò non toglieva evidentemente il dolore che la morte dei figli sempre comporta. Bach ha portato con sé pure il dolore della disabilità di alcuni di questi figli, in un tempo in cui la disabilità non aveva riconoscimenti, stima e sostegno sociale. Sono questi tratti forse poco noti o poco ricordati della grande figura, spesso trasfigurata dall’aura magistrale della sua musica. Eppure, questo è stato l’uomo: Bach.
- Che cosa è rintracciabile di ciò che hai appena detto nella sua musica?
L’arte come “espressione del sé” è da intendersi quale idea successiva all’epoca di Bach: sarà la nota caratteristica dell’epoca romantica, anche in musica. Ma inevitabilmente – sempre – nella musica, come nell’arte in genere, passano le esperienze umane della vita. L’obiettivo che infatti perseguiva nella sua musica – specie da chiesa – non era certamente “personale”.
La sua musica “sacra” doveva trascendere i singoli, con le loro contingenze e le loro biografie, per assurgere al carattere della universalità e della eternità. È questo anelito a rendere la musica di Bach veramente universale, veramente “eterna”, per grazia di Dio.
Voglio aggiungere che questo non vuol affatto dire che la sua musica non fosse e non sia carica di umani “affetti”: nel suo tempo si usava precisamente questo termine – affetti – per dire della componente emozionale della musica. E gli affetti della musica di Bach sono infiniti. Ma ciò non è da intendersi in maniera intimistica, solipsistica, tanto meno eroica. La sua musica tende alla pienezza della vita umana: perciò nella sua musica “c’è Dio”.
Weltanschauung in musica
- Vuoi fare almeno un esempio musicale che rappresenti insieme la visione teologica e la vita?
Bach scriveva musica da chiesa in larga misura per le celebrazioni liturgiche, per le domeniche e per le feste del calendario. Perciò la sua musica ha percorso tutti i temi teologici fondamentali del cristianesimo, con una chiara impostazione luterana di fondo, come ho detto. Certamente ci sono alcuni “temi” così profondi da aver lasciato una traccia inconfondibile.
Mi riferisco, in primo luogo, al tema della morte. Anche l’ascoltatore contemporaneo – ogni ascoltatore – non può mancare di rimanere colpito, impressionato, dal modo in cui Bach “medita” sul tema della morte, meditazione peraltro ampiamente omessa dalla cultura contemporanea: Bach medita la morte in musica senza togliere nulla al dramma, ma sempre con estrema dolcezza, tendendo a produrre un effetto consolatorio, bello, mai disperato e disperante.
La sua meditazione in musica – in primo luogo sulla umanissima morte di Gesù – è stata capace di amplificare magnificamente la specificità dei testi evangelici. Penso in particolare alle Passioni composte da Bach.
Correlata alla morte è evidentemente l’idea della risurrezione: Bach la rappresenta in una maniera che io definisco, musicalmente, “sbalzata”, ossia particolarmente sfavillante, capace di imprimere a tutti senso di coraggio. Non è – attenzione – una versione trionfalistica della risurrezione quella che appare.
- Quali strumenti stilistici aveva Bach a disposizione nel suo tempo per tali livelli di espressività?
Bach utilizza chiaramente elementi e strumenti musicali della sua epoca. Per questo la sua musica può perdere un poco della sua forza innovativa e dirompente agli orecchi dei nostri contemporanei. Ma direi che ha saputo conferire – con quegli stessi strumenti – sensazioni molto forti e certamente innovative per il suo tempo.
- Vuoi chiarire, anche per i non esperti, quali fossero i generi musicali “sacri” praticati da Bach?
Come ho detto, la musica “sacra” di Bach è stata pensata unicamente per il culto nelle chiese, non per le sale da concerto. È una musica basata sul genere del “corale” che è propriamente una melodia che solo successivamente viene armonizzata.
Il corale
Bach ci ha lasciato moltissime armonizzazioni dei numerosissimi corali già circolanti nel suo ambiente. Ci ha lasciato anche preludi di corali, ossia brani organistici – quindi non vocali – nei quali la melodia semplice del corale, in valori lunghi, è circondata e arricchita da altre molteplici melodie.
Voglio qui semplicemente esprimere che tutto era visto da Bach in funzione del corale effettivamente intonato in una precisa circostanza liturgica e di edificazione pastorale della comunità. Anche all’interno delle grandi Passioni incontriamo l’armonizzazione di corali che costituivano – dovevano costituire – la risposta attiva, contemplativa, dei fedeli, riuniti in comunità, rispetto alla Parola ascoltata.
Il modello della lectio divina – lectio oratio meditatio – era in fondo ancora molto vicino. Le “cantate” – di cui l’“oratorio” e la “passione” possono rappresentare delle versioni allargate da un certo punto di vista – sono costruite da Bach a partire dalla forma del “corale”; altre volte hanno forma costruttiva più libera.
Non dobbiamo però mai dimenticare l’uso da chiesa: le “cantate” fungevano da sermone in musica, con recitativi, arie, duetti, brani strumentali: stavano comunque ad incorniciare la Parola e il suo commento. Normalmente si concludevano e si concludono con l’Amen dell’assemblea. È facile, perciò, comprendere perché comporre cantate per l’intero anno liturgico sia stata la principale occupazione di Bach.
Per questa ragione oggi noi disponiamo di un lavoro immenso, fatto però per essere “usato”, non monumentalizzato. Certamente le celebrazioni al tempo di Bach duravano molto a lungo, intere ore. Perciò questa musica è stata trasferita – anche in ambito luterano – in sala da concerto o in chiese come sale da concerto. Ma dobbiamo quanto meno essere consapevoli che Bach non ha composto per tale finalità.
- I testi non biblici delle sue opere da chiesa erano scritti direttamente da lui?
Come ho accennato, Bach era una persona molto colta, non solo musicalmente. Conosceva abbastanza bene diverse lingue, non sola la propria; conosceva molto bene il latino. Era perfettamente in grado di scrivere pure i testi della sua musica da chiesa.
Tuttavia, si è sempre posto al servizio delle chiese committenti, musicando i testi che gli venivano sottoposti. Pertanto, personalmente, ritengo che si sia limitato a piccoli interventi sui testi, in ragione di adeguamenti vocali alla sua musica.
Il compito della musica
- Come spieghi la di per sé non facile conciliazione tra parole e musica in Bach?
Certamente il rapporto tra Parola sacra, parole di commento e musica è di fondamentale importanza in Bach che ha mostrato grande attenzione per l’intelligibilità dei testi a beneficio delle assemblee dei fedeli. Spesso è ricorso al cosiddetto madrigalismo, ossia alla descrizione – ripetuta – in musica anche di una sola e determinata parola, perché questa fosse ben compresa e interiorizzata.
Il resto Bach lo faceva con la musica, con i tratti caratteristici della sua musica, andando a “significare”, appunto con la musica, il senso delle parole, specie le più importanti. Ad esempio, l’Ascendit del Credo (della Messa in si minore), Bach l’ha musicato con una melodia festosamente ascendente. Persino più raffinato e originale risulta l’uso di certe sue metafore, insieme linguistiche e musicali. Ne cito una che mi è molto cara.
Nelle sue opere ritorna naturalmente il motivo dell’aspirazione dell’uomo a Dio, comprensivo dell’impossibilità di una tale elevazione per effetto delle sole deboli forze umane, se non in virtù – quindi – dell’intervento della grazia di Dio. Prendiamo il famosissimo Erbarme dich, la preghiera collocata a commento del tradimento di Pietro nella Passione secondo Matteo: è un’aria meravigliosa in cui tanto il soprano – la Parola – quanto la musica – il violino – presentano uno scarto e un salto verso l’alto: all’estrema fragilità umana va incontro – per elevarla – la divina grazia. È un gesto musicale eloquentissimo. Non ha bisogno di altre parole.
Certamente noi italiani oggi possiamo ascoltare questi brani bellissimi – fatti di parole e di musica – in tedesco e per giunta nel tedesco del ’700: le traduzioni in italiano aiutano, ma non bastano. Così perdiamo qualcosa di prezioso. Ma anche se non riusciamo a capire il testo, la musica è in grado di trasportarci dove vuole il testo.
- Sono state coniate definizioni molte alte di Bach, specie, ovviamente, in ambito luterano e riformato in genere: “musicista teologo” o “quinto evangelista”. Cosa ne dici?
Sicuramente Bach è stato un grande musicista e un colto teologo. Non userei definizioni assai impegnative. Qui vorrei cercare di rendere la sua grandezza di musicista nella sua ordinaria umanità, come è proprio di ogni cristiano autentico e quindi anche di un musicista e di un teologo.
Vorrei dire pertanto quale parte abbia avuto questo autore per me, anche come evangelizzatore: sì, perché ha donato tanto alla mia vita artistica quanto a quella spirituale, insieme. Gli sono debitrice di tante impressioni musicali, teologiche, spirituali.
La cosa che ulteriormente continua a colpirmi è che anche colleghi musicisti, di per sé “non credenti”, non restino affatto spiritualmente indifferenti alla musica di Bach. Mi sono sentita dire: non so se Dio esiste, non credo: ma, se esiste, penso che sia come lo ha “descritto” Bach con la sua musica.
Effettivamente Bach risveglia sensazioni di trascendenza – e diciamo pure di fede – anche in persone che non coltivano alcuna appartenenza. La musica da chiesa di Bach è oggi ascoltatissima nel mondo anche da persone che si dicono “atee” o appartenenti a tradizioni religiose e culturali molto lontane: ad esempio in Giappone o forse in Cina.
Certamente se questa percezione fosse accompagnata dalla conoscenza e dalla comprensione della cultura da cui proviene – ossia dalle cosiddette “radici cristiane” – sarebbe una gran cosa, a prescindere dall’accettazione di fede o meno. Per questo ritengo importante per il mondo intero conoscere la musica di Bach.
- Bach è pure una riconosciuta icona ecumenica, oggi?
A questo proposito ricordo solo un episodio. Ricordo l’allora cardinale Ratzinger seduto accanto al vescovo luterano di Monaco ascoltare la Cantata BWV 140 Wachet auf ruft uns die Stimme: al termine dell’esecuzione colui che sarebbe divenuto papa Benedetto XVI ha detto al vescovo luterano: questa è la verità! Questa espressione – evidentemente uscita di getto dall’emozione prodotta dall’ascolto – mi sembra ben in grado di rappresentare la capacità di questa musica di superare ogni pregiudizio e ogni barriera teologica e culturale.
Bach oggi
- Chiara, tu sei direttamente impegnata nell’opera di promozione della conoscenza della musica di Bach: come?
Il mio impegno, insieme di musicista, musicologa e teologa, per la promozione della musica di Bach aspira a posizionarsi a vari livelli. Con Maria Borghesi ho fondato l’associazione JSBach.it: l’intento è far conoscere Bach attraverso iniziative legate alla sua figura in Italia.
A tale intento associativo si affianca il progetto discografico che sto realizzando con la Da Vinci Classics: 3 Compact disk sono già stati pubblicati, 5 sono registrati; riguardano brani che Bach ha dedicato all’Italia, oppure brani che compositori italiani hanno prodotto dalle musiche di Bach. In particolare, Busoni.
- Personalmente mi ha sempre impressionato la logica, quasi matematica, con cui Bach compone musiche capaci di destare tante emozioni e umani “affetti”, come hai detto. Come me lo spieghi?
L’originalità di questa musica è autentica ma la contraddizione è solo apparente: la contraddizione è stata ingenerata dalla cultura successiva a Bach, quella cultura che, sino ai giorni nostri, ha inteso sezionare l’umano, separando quindi la ragione e rendendola sempre più qualcosa di astratto.
In realtà la ragione – intesa secondo la Fides et ratio di Giovanni Paolo II – è “il soggetto di cui la fede è il predicato”, questo vuol dire che la nostra fede non può che passare attraverso la nostra ragione integrale che non è certamente da intendersi quale puro esercizio di raziocinio, bensì pure come nostro personale patrimonio di esperienza, di memoria, affettività…
È vero, Bach possedeva un cervello incredibile dal punto di vista matematico: probabilmente sarebbe stato capace di un calcolo combinatorio della complessità di un suo contrappunto.
Ma Bach non è stato un grande musicista perché è stato un grande “matematico”: lo è stato perché persona vera, autentica, integrale, con le sue sofferenze, i suoi affetti, fragilità, con tutta la sua intelligente umanità penetrata dalla grazia della fede.